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UDIENZA GENERALE PAPA FRANCESCO
Piazza San Pietro
Mercoledì, 9 dicembre 2015



Perché un Giubileo della Misericordia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Ieri ho aperto qui, nella Basilica di San Pietro, la Porta Santa del Giubileo della Misericordia, dopo averla aperta già nella Cattedrale di Bangui, in Centrafrica. Oggi vorrei riflettere insieme a voi sul significato di questo Anno Santo, rispondendo alla domanda: perché un Giubileo della Misericordia? Cosa significa questo?

La Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. Non dico: è buono per la Chiesa questo momento straordinario. Dico: la Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. Nella nostra epoca di profondi cambiamenti, la Chiesa è chiamata ad offrire il suo contributo peculiare, rendendo visibili i segni della presenza e della vicinanza di Dio. E il Giubileo è un tempo favorevole per tutti noi, perché contemplando la Divina Misericordia, che supera ogni limite umano e risplende sull’oscurità del peccato, possiamo diventare testimoni più convinti ed efficaci.

Volgere lo sguardo a Dio, Padre misericordioso, e ai fratelli bisognosi di misericordia, significa puntare l’attenzione sul contenuto essenziale del Vangelo: Gesù, la Misericordia fatta carne, che rende visibile ai nostri occhi il grande mistero dell’Amore trinitario di Dio. Celebrare un Giubileo della Misericordia equivale a mettere di nuovo al centro della nostra vita personale e delle nostre comunità lo specifico della fede cristiana, cioè Gesù Cristo, il Dio misericordioso.

Un Anno Santo, dunque, per vivere la misericordia. Sì, cari fratelli e sorelle, questo Anno Santo ci è offerto per sperimentare nella nostra vita il tocco dolce e soave del perdono di Dio, la sua presenza accanto a noi e la sua vicinanza soprattutto nei momenti di maggiore bisogno.

Questo Giubileo, insomma, è un momento privilegiato perché la Chiesa impari a scegliere unicamente “ciò che a Dio piace di più”. E, che cosa è che “a Dio piace di più”? Perdonare i suoi figli, aver misericordia di loro, affinché anch’essi possano a loro volta perdonare i fratelli, risplendendo come fiaccole della misericordia di Dio nel mondo. Questo è quello che a Dio piace di più. Sant’Ambrogio in un libro di teologia che aveva scritto su Adamo, prende la storia della creazione del mondo e dice che Dio ogni giorno, dopo aver fatto una cosa  - la luna, il sole o gli animali – dice: “E Dio vide che questo era buono”. Ma quando ha fatto l’uomo e la donna, la Bibbia dice: “Vide che questo era molto buono”. Sant’Ambrogio si domanda: “Ma perché dice “molto buono”? Perché Dio è tanto contento dopo la creazione dell’uomo e della donna?”. Perché alla fine aveva qualcuno da perdonare. È bello questo: la gioia di Dio è perdonare, l’essere di Dio è misericordia. Per questo in quest’anno dobbiamo aprire i cuori, perché questo amore, questa gioia di Dio ci riempia tutti di questa misericordia. Il Giubileo sarà un “tempo favorevole” per la Chiesa se impareremo a scegliere “ciò che a Dio piace di più”, senza cedere alla tentazione di pensare che ci sia qualcos’altro che è più importante o prioritario. Niente è più importante di scegliere “ciò che a Dio piace di più”, cioè la sua misericordia, il suo amore, la sua tenerezza, il suo abbraccio, le sue carezze!

Anche la necessaria opera di rinnovamento delle istituzioni e delle strutture della Chiesa è un mezzo che deve condurci a fare l’esperienza viva e vivificante della misericordia di Dio che, sola, può garantire alla Chiesa di essere quella città posta sopra un monte che non può rimanere nascosta (cfr Mt 5,14). Risplende soltanto una Chiesa misericordiosa! Se dovessimo, anche solo per un momento, dimenticare che la misericordia è “quello che a Dio piace di più”, ogni nostro sforzo sarebbe vano, perché diventeremmo schiavi delle nostre istituzioni e delle nostre strutture, per quanto rinnovate possano essere. Ma saremmo sempre schiavi.

«Sentire forte in noi la gioia di essere stati ritrovati da Gesù, che come Buon Pastore è venuto a cercarci perché ci eravamo smarriti» (Omelia nei Primi Vespri della Domenica della Divina Misericordia, 11 aprile 2015): questo è l’obiettivo che la Chiesa si pone in questo Anno Santo. Così rafforzeremo in noi la certezza che la misericordia può contribuire realmente all’edificazione di un mondo più umano. Specialmente in questi nostri tempi, in cui il perdono è un ospite raro negli ambiti della vita umana, il richiamo alla misericordia si fa più urgente, e questo in ogni luogo: nella società, nelle istituzioni, nel lavoro e anche nella famiglia.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare: “Ma, Padre, la Chiesa, in questo Anno, non dovrebbe fare qualcosa di più? È giusto contemplare la misericordia di Dio, ma ci sono molti bisogni urgenti!”. È vero, c’è molto da fare, e io per primo non mi stanco di ricordarlo. Però bisogna tenere conto che, alla radice dell’oblio della misericordia, c’è sempre l’amor proprio. Nel mondo, questo prende la forma della ricerca esclusiva dei propri interessi, di piaceri e onori uniti al voler accumulare ricchezze, mentre nella vita dei cristiani si traveste spesso di ipocrisia e di mondanità. Tutte queste cose sono contrarie alla misericordia. I moti dell’amor proprio, che rendono straniera la misericordia nel mondo, sono talmente tanti e numerosi che spesso non siamo più neppure in grado di riconoscerli come limiti e come peccato. Ecco perché è necessario riconoscere di essere peccatori, per rafforzare in noi la certezza della misericordia divina. “Signore, io sono un peccatore; Signore, io sono una peccatrice: vieni con la tua misericordia”. Questa è una preghiera bellissima. È una preghiera facile da dire tutti i giorni: “Signore, io sono un peccatore; Signore, io sono una peccatrice: vieni con la tua misericordia”.

Cari fratelli e sorelle, mi auguro che, in questo Anno Santo, ognuno di noi faccia esperienza della misericordia di Dio, per essere testimoni di “ciò che a Lui piace di più”. È da ingenui credere che questo possa cambiare il mondo? Sì, umanamente parlando è da folli, ma «ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,25).


Saluti:
[Sono lieto di accogliere i fedeli di lingua francese, in particolare i pellegrini della Diocesi di Rennes, accompagnati dal loro Arcivescovo, Mons. D’Ornellas, come pure quelli provenienti dalla Francia, dalla Svizzera, dal Libano e dal Gabon. Auguro che in questo Anno Santo ciascuno di voi faccia esperienza della misericordia di Dio per esserne dei testimoni convinti ed efficaci. Che Dio vi benedica!]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including those from Scotland, Denmark, Indonesia, Japan, Canada and the United States of America.  My special greeting goes to the international team of the space programme Galileo.  Upon you and your families I invoke the Lord’s blessings of joy and peace.  God bless you all!
[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Scozia, Danimarca, Indonesia, Giappone, Canada e Stati Uniti d’America.  Rivolgo un saluto particolare ai rappresentanti del programma spaziale Galileo.  Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore.  Dio vi benedica!]

[Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua tedesca, in particolare ai membri ed agli amici del movimento Schönstatt. In quest’Anno Santo straordinario guardiamo anche a Maria, la Madre della Misericordia. La Beata Vergine ci ha donato Gesù, fonte di misericordia. Maria ci guidi all’incontro con Gesù misericordioso. Dio vi benedica tutti.]

[Saluto i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i gruppi provenienti da Spagna e America latina. Maria, Madre del Salvatore e Madre nostra, ci aiuti affinché in questo Anno Santo sperimentiamo la misericordia di Dio e possiamo manifestarla agli altri. Grazie mille.]

 [Carissimi pellegrini di lingua portoghese, vi saluto cordialmente tutti, in particolare i membri dell’«Obra dos Filhos da Ressurreição», e vi auguro che, in quest’Anno Santo, possiate fare esperienza della misericordia di Dio per essere testimoni di ciò che a Lui piace di più. Pregate anche per me! Dio vi benedica!]

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, il Giubileo è un tempo favorevole per tutti noi per vivere la misericordia, per sperimentare nella nostra vita il perdono di Dio e perdonare a nostra volta i fratelli, risplendendo come fiaccole della misericordia di Dio nel mondo. Il Signore vi benedica!]

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi venuti a quest’udienza. La Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria e l’inizio del Giubileo Straordinario della Misericordia, a cui abbiamo partecipato ieri, ci esortano a diventare sull’esempio di Maria santi e perfetti di fronte al Signore (cfr. Ef 1,4) e a sperimentare il perdono di Dio nella nostra vita attraverso l’impegno nelle opere di misericordia. La Santissima Vergine ci aiuti a vivere la gioia dell’incontro con la Grazia divina che tutto trasforma. Sia lodato Gesù Cristo.]

* * *
Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana! Sono lieto di accogliere le Missionarie della Carità, l’Associazione Dives in Misericordia della Diocesi di Piazza Armerina; il Gruppo Caffo di Limbadi e gli Artisti della Fondazione Don Bosco nel Mondo.
Ieri, nella Solennità dell’Immacolata Concezione, abbiamo iniziato il Giubileo della Misericordia. La Vergine Maria interceda per noi, perché quest’Anno Santo sia ricco di copiosi frutti e, facendo tutti esperienza della cura di Dio per noi, guidi il nostro agire secondo le opere di misericordia corporali e spirituali, che tutti siamo chiamati a vivere.

Rivolgo un saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. La Madre di Gesù vi insegni, cari giovani, ad accogliere nel vostro cuore la nascita del Salvatore; aiuti voi, cari ammalati, ad affidarvi sempre alle braccia della Divina Provvidenza; e conceda a voi, cari sposi novelli, di fare della misericordia il criterio della vostra vita sponsale.


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UDIENZA GENERALE PAPA FRANCESCO
Mercoledì, 18 novembre 2015



La Famiglia - 33. La porta dell’accoglienza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Con questa riflessione siamo arrivati alle soglie del Giubileo, è vicino. Davanti a noi sta la  porta, ma non solo la porta santa, l’altra: la grande porta della Misericordia di Dio - e quella è una porta bella! -, che accoglie il nostro pentimento offrendo la grazia del suo perdono. La porta è generosamente aperta, ci vuole un po’ di coraggio da parte nostra per varcare la soglia. Ognuno di noi ha dentro di sé cose che pesano. Tutti siamo peccatori! Approfittiamo di questo momento che viene e varchiamo la soglia di questa misericordia di Dio che mai si stanca di perdonare, mai si stanca di aspettarci! Ci guarda, è sempre accanto a noi. Coraggio! Entriamo per questa porta!

Dal Sinodo dei Vescovi, che abbiamo celebrato nello scorso mese di ottobre, tutte le famiglie, e la Chiesa intera, hanno ricevuto un grande incoraggiamento a incontrarsi sulla soglia di questa porta aperta. La Chiesa è stata incoraggiata ad aprire le sue porte, per uscire con il Signore incontro ai figli e alle figlie in cammino, a volte incerti, a volte smarriti, in questi tempi difficili. Le famiglie cristiane, in particolare, sono state incoraggiate ad aprire la porta al Signore che attende di entrare, portando la sua benedizione e la sua amicizia. E se la porta della misericordia di Dio è sempre aperta, anche le porte delle nostre chiese, delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre istituzioni, delle nostre diocesi, devono essere aperte, perché così tutti possiamo uscire a portare questa misericordia di Dio. Il Giubileo significa la grande porta della misericordia di Dio ma anche le piccole porte delle nostre chiese aperte per lasciare entrare il Signore - o tante volte uscire il Signore - prigioniero delle nostre strutture, del nostro egoismo e di tante cose.

Il Signore non forza mai la porta: anche Lui chiede il permesso di entrare. Il Libro dell’Apocalisse dice: «Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Ma immaginiamoci il Signore che bussa alla porta del nostro cuore! E nell’ultima grande visione di questo Libro dell’Apocalisse, così si profetizza della Città di Dio: «Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno», il che significa per sempre, perché «non vi sarà più notte» (21,25). Ci sono posti nel mondo in cui non si chiudono le porte a chiave, ancora ci sono. Ma ce ne sono tanti dove le porte blindate sono diventate normali. Non dobbiamo arrenderci all’idea di dover applicare questo sistema a tutta la nostra vita, alla vita della famiglia, della città, della società. E tanto meno alla vita della Chiesa. Sarebbe terribile! Una Chiesa inospitale, così come una famiglia rinchiusa su sé stessa, mortifica il Vangelo e inaridisce il mondo. Niente porte blindate nella Chiesa, niente! Tutto aperto!

La gestione simbolica delle “porte” – delle soglie, dei passaggi, delle frontiere – è diventata cruciale. La porta deve custodire, certo, ma non respingere. La porta non dev’essere forzata, al contrario, si chiede permesso, perché l’ospitalità risplende nella libertà dell’accoglienza, e si oscura nella prepotenza dell’invasione. La porta si apre frequentemente, per vedere se fuori c’è qualcuno che aspetta, e magari non ha il coraggio, forse neppure la forza di bussare. Quanta gente ha perso la fiducia, non ha il coraggio di bussare alla porta del nostro cuore cristiano, alle porte delle nostre chiese… E sono lì, non hanno il coraggio, gli abbiamo tolto la fiducia: per favore, che questo non accada mai. La porta dice molte cose della casa, e anche della Chiesa. La gestione della porta richiede attento discernimento e, al tempo stesso, deve ispirare grande fiducia. Vorrei spendere una parola di gratitudine per tutti i custodi delle porte: dei nostri condomini, delle istituzioni civiche, delle stesse chiese. Spesso l’accortezza e la gentilezza della portineria sono capaci di offrire un’immagine di umanità e di accoglienza all’intera casa, già dall’ingresso. C’è da imparare da questi uomini e donne, che sono custodi dei luoghi di incontro e di accoglienza della città dell’uomo! A tutti voi custodi di tante porte, siano porte di abitazioni, siano porte delle chiese, grazie tante! Ma sempre con un sorriso, sempre mostrando l’accoglienza di quella casa, di quella chiesa, così la gente si sente felice e accolta in quel posto.

In verità, sappiamo bene che noi stessi siamo i custodi e i servi della Porta di Dio, e la porta di Dio come si chiama? Gesù! Egli ci illumina su tutte le porte della vita, comprese quelle della nostra nascita e della nostra morte. Egli stesso l’ha affermato: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Gesù è la porta che ci fa entrare e uscire. Perché l’ovile di Dio è un riparo, non è una prigione! La casa di Dio è un riparo, non è una prigione, e la porta si chiama Gesù! E se la porta è chiusa, diciamo: “Signore, apri la porta!”. Gesù è la porta e ci fa entrare e uscire. Sono i ladri, quelli che cercano di evitare la porta: è curioso, i ladri cercano sempre di entrare da un’altra parte, dalla finestra, dal tetto ma evitano la porta, perché hanno intenzioni cattive, e si intrufolano nell’ovile per ingannare le pecore e approfittare di loro. Noi dobbiamo passare per la porta e ascoltare la voce di Gesù: se sentiamo il suo tono di voce, siamo sicuri, siamo salvi. Possiamo entrare senza timore e uscire senza pericolo. In questo bellissimo discorso di Gesù, si parla anche del guardiano, che ha il compito di aprire al buon Pastore (cfr Gv 10,2). Se il guardiano ascolta la voce del Pastore, allora apre, e fa entrare tutte le pecore che il Pastore porta, tutte, comprese quelle sperdute nei boschi, che il buon Pastore si è andato a riprendere. Le pecore non le sceglie il guardiano, non le sceglie il segretario parrocchiale o la segretaria della parrocchia; le pecore sono tutte invitate, sono scelte dal buon Pastore. Il guardiano – anche lui – obbedisce alla voce del Pastore. Ecco, potremmo ben dire che noi dobbiamo essere come quel guardiano. La Chiesa è la portinaia della casa del Signore, non è la padrona della casa del Signore.
La Santa Famiglia di Nazareth sa bene che cosa significa una porta aperta o chiusa, per chi aspetta un figlio, per chi non ha riparo, per chi deve scampare al pericolo. Le famiglie cristiane facciano della loro soglia di casa un piccolo grande segno della Porta della misericordia e dell'accoglienza di Dio. E’ proprio così che la Chiesa dovrà essere riconosciuta, in ogni angolo della terra: come la custode di un Dio che bussa, come l’accoglienza di un Dio che non ti chiude la porta in faccia, con la scusa che non sei di casa. Con questo spirito ci avviciniamo al Giubileo: ci sarà la porta santa, ma c’è la porta della grande misericordia di Dio! Ci sia anche la porta del nostro cuore per ricevere tutti il perdono di Dio e dare a nostra volta il nostro perdono, accogliendo tutti quelli che bussano alla nostra porta.


Saluti:
[Sono lieto di accogliere i pellegrini di lingua francese. Vi auguro che le vostre famiglie facciano sempre delle loro soglie di casa un segno di quella Porta della Misericordia che Gesù apre a tutti. Dio vi benedica!]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including those from England and the United States of America. My special greeting goes to the El Shaddai prayer fellowship and the orthopaedic surgeons of the Ivins Society. Upon you and your families I invoke the Lord’s blessings of joy and peace. God bless you all!
[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare al gruppo di preghiera El Shaddai ed ai chirurghi della “Ivins Society”. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore. Dio vi benedica!]

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua tedesca. Carissimi, una Chiesa inospitale e una famiglia rinchiusa su sé stessa mortificano il Vangelo e rendono arido il mondo. Lo Spirito Santo accompagni il vostro cammino con la sua luce.

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i gruppi provenienti dalla Spagna e dall'America Latina. Chiediamo alla Sacra Famiglia, che conobbe quello che significa trovare una porta chiusa, che aiuti le famiglie cristiane a essere un segno eloquente della Porta della misericordia, che si apre al Signore che chiama e al fratello che viene. Che Dio vi benedica.]

[Carissimi pellegrini di lingua portoghese, in particolare brasiliani di Belém, João Pessoa, Olinda e Recife, di cuore vi saluto e vi auguro che la vostra visita a Roma si compia con lo spirito del vero pellegrino, che, sapendo di non possedere ancora il Bene più grande, si mette in viaggio deciso a cercarLo. Sappiate che Dio si lascia trovare da quanti Lo desiderano in questo modo. Su di voi e sulle vostre famiglie scendano abbondanti benedizioni del Signore!]

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Libano e dalla Siria! Nel Giubileo della Misericordia, le famiglie cristiane facciano della loro soglia di casa un segno della misericordia e dell’accoglienza di Dio; e ogni Chiesa sia testimone della Misericordia del Padre celeste, che non chiude mai la porta del Suo perdono di fronte ai pentiti e non ci tratta mai secondo i nostri meriti, ma secondo l’immensità della Sua misericordia e del Suo amore. Il Signore vi benedica e vi protegga tutti dal male!]

[Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. Saluto in particolare i rappresentanti del Sindacato Autonomo dei Lavoratori “Solidarnosc”. Da trentacinque anni il vostro Sindacato si impegna a favore del mondo del lavoro, sia fisico, che intellettuale, nonché per la tutela dei diritti fondamentali della persona e delle società. Siate fedeli a questo impegno, affinché gli interessi politici o economici non prevalgano sui valori che costituiscono l’essenza della solidarietà umana. Affido voi e tutti i membri del Sindacato alla protezione del vostro patrono, il beato don Jerzy Popieluszko, e vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo!]


APPELLI
Dopodomani ricorrerà la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia. È un dovere di tutti proteggere i bambini e anteporre ad ogni altro criterio il loro bene, affinché non siano mai sottoposti a forme di servitù e maltrattamenti e anche a forme di sfruttamento. Auspico che la Comunità internazionale possa vigilare attentamente sulle condizioni di vita dei fanciulli, specialmente là dove sono esposti al reclutamento da parte di gruppi armati; come pure possa aiutare le famiglie a garantire ad ogni bambino e bambina il diritto alla scuola e all’educazione.

* * *
Il 21 novembre, poi, la Chiesa ricorda la Presentazione di Maria Santissima al Tempio. In tale circostanza ringraziamo il Signore per il dono della vocazione degli uomini e delle donne che, nei monasteri e negli eremi, hanno dedicato la loro vita a Dio. Affinché le comunità di clausura possano compiere la loro importante missione, nella preghiera e nel silenzio operoso, non facciamo mancare la nostra vicinanza spirituale e materiale.



Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.
Sono lieto di accogliere i sacerdoti di Gubbio, accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Ceccobelli.

Saluto l’Associazione Thalidomidici Italiani, i partecipanti al Convegno Nazionale promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi, l’Associazione Love Bridges di Iglesias e l’Associazione Santa Maria della Strada di Messina.

In questo giorno, in cui celebriamo la Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, auguro a tutti che la visita alle tombe degli Apostoli rafforzi la gioia della fede.
Porgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani e studenti, in particolare di Afragola e di Roma, la testimonianza degli Apostoli, che hanno lasciato tutto per seguire Gesù, accenda anche in voi il desiderio di amarlo con tutte le forze e di seguirlo; cari ammalati, le gloriose sofferenze dei Santi Pietro e Paolo diano conforto e speranza alla vostra offerta; cari sposi novelli, le vostre case possano essere templi di quell’Amore da cui nessuno potrà mai separarci.



© Copyright - Libreria Editrice Vaticana

UDIENZA GENERALE PAPA FRANCESCO
Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 novembre 2015



Parole all’inizio dell’Udienza generale
In questi giorni la Chiesa italiana sta celebrando il Convegno nazionale a Firenze. I cardinali, i vescovi, i consacrati, i laici, tutti insieme. Vi invito a pregare la Madonna, un’Ave Maria per loro. [Ave Maria]


CATECHESI DEL SANTO PADRE

La Famiglia - 32. Convivialità

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi rifletteremo su una qualità caratteristica della vita familiare che si apprende fin dai primi anni di vita: la convivialità, ossia l’attitudine a condividere i beni della vita e ad essere felici di poterlo fare. Condividere e saper condividere è una virtù preziosa! Il suo simbolo, la sua “icona”, è la famiglia riunita intorno alla mensa domestica. La condivisione del pasto – e dunque, oltre che del cibo, anche degli affetti, dei racconti, degli eventi… – è un’esperienza fondamentale. Quando c’è una festa, un compleanno, un anniversario, ci si ritrova attorno alla tavola. In alcune culture è consuetudine farlo anche per un lutto, per stare vicino a chi è nel dolore per la perdita di un familiare.

La convivialità è un termometro sicuro per misurare la salute dei rapporti: se in famiglia c’è qualcosa che non va, o qualche ferita nascosta, a tavola si capisce subito. Una famiglia che non mangia quasi mai insieme, o in cui a tavola non si parla ma si guarda la televisione, o lo smartphone, è una famiglia “poco famiglia”. Quando i figli a tavola sono attaccati al computer, al telefonino, e non si ascoltano fra loro, questo non è famiglia, è un pensionato.

Il Cristianesimo ha una speciale vocazione alla convivialità, tutti lo sanno. Il Signore Gesù insegnava volentieri a tavola, e rappresentava talvolta il regno di Dio come un convito festoso. Gesù scelse la mensa anche per consegnare ai discepoli il suo testamento spirituale - lo fece a cena - condensato nel gesto memoriale del suo Sacrificio: dono del suo Corpo e del suo Sangue quali Cibo e Bevanda di salvezza, che nutrono l’amore vero e durevole.

In questa prospettiva, possiamo ben dire che la famiglia è “di casa” alla Messa, proprio perché porta all’Eucaristia la propria esperienza di convivialità e la apre alla grazia di una convivialità universale, dell’amore di Dio per il mondo. Partecipando all’Eucaristia, la famiglia viene purificata dalla tentazione di chiudersi in sé stessa, fortificata nell’amore e nella fedeltà, e allarga i confini della propria fraternità secondo il cuore di Cristo.

In questo nostro tempo, segnato da tante chiusure e da troppi muri, la convivialità, generata dalla famiglia e dilatata dall’Eucaristia, diventa un’opportunità cruciale. L’Eucaristia e le famiglie da essa nutrite possono vincere le chiusure e costruire ponti di accoglienza e di carità. Sì, l’Eucaristia di una Chiesa di famiglie, capaci di restituire alla comunità il lievito operoso della convivialità e dell’ospitalità reciproca, è una scuola di inclusione umana che non teme confronti! Non ci sono piccoli, orfani, deboli, indifesi, feriti e delusi, disperati e abbandonati, che la convivialità eucaristica delle famiglie non possa nutrire, rifocillare, proteggere e ospitare.

La memoria delle virtù familiari ci aiuta a capire. Noi stessi abbiamo conosciuto, e ancora conosciamo, quali miracoli possono accadere quando una madre ha sguardo e attenzione, accudimento e cura per i figli altrui, oltre che per i propri. Fino a ieri, bastava una mamma per tutti i bambini del cortile! E ancora: sappiamo bene quale forza acquista un popolo i cui padri sono pronti a muoversi a protezione dei figli di tutti, perché considerano i figli un bene indiviso, che sono felici e orgogliosi di proteggere.

Oggi molti contesti sociali pongono ostacoli alla convivialità familiare. E’ vero, oggi non è facile. Dobbiamo trovare il modo di recuperarla. A tavola si parla, a tavola si ascolta. Niente silenzio, quel silenzio che non è il silenzio delle monache, ma è il silenzio dell’egoismo, dove ognuno fa da sé, o la televisione o il computer… e non si parla. No, niente silenzio. Occorre recuperare quella convivialità familiare pur adattandola ai tempi. La convivialità sembra sia diventata una cosa che si compra e si vende, ma così è un’altra cosa. E il nutrimento non è sempre il simbolo di una giusta condivisione dei beni, capace di raggiungere chi non ha né pane né affetti. Nei Paesi ricchi siamo indotti a spendere per un nutrimento eccessivo, e poi lo siamo di nuovo per rimediare all’eccesso. E questo “affare” insensato distoglie la nostra attenzione dalla fame vera, del corpo e dell’anima. Quando non c’è convivialità c’è egoismo, ognuno pensa a se stesso. Tanto più che la pubblicità l’ha ridotta a un languore di merendine e a una voglia di dolcetti. Mentre tanti, troppi fratelli e sorelle rimangono fuori dalla tavola. E’ un po’ vergognoso!

Guardiamo al mistero del Convito eucaristico. Il Signore spezza il suo Corpo e versa il suo Sangue per tutti. Davvero non c’è divisione che possa resistere a questo Sacrificio di comunione; solo l’atteggiamento di falsità, di complicità con il male può escludere da esso. Ogni altra distanza non può resistere alla potenza indifesa di questo pane spezzato e di questo vino versato, Sacramento dell’unico Corpo del Signore. L’alleanza viva e vitale delle famiglie cristiane, che precede, sostiene e abbraccia nel dinamismo della sua ospitalità le fatiche e le gioie quotidiane, coopera con la grazia dell’Eucaristia, che è in grado di creare comunione sempre nuova con la sua forza che include e che salva.

La famiglia cristiana mostrerà proprio così l’ampiezza del suo vero orizzonte, che è l’orizzonte della Chiesa Madre di tutti gli uomini, di tutti gli abbandonati e gli esclusi, in tutti i popoli. Preghiamo perché questa convivialità familiare possa crescere e maturare nel tempo di grazia del prossimo Giubileo della Misericordia.


Saluti:
[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese. Oggi ricorre la festa liturgica di San Martino che ha evangelizzato le campagne di Francia. Saluto anche gli ungheresi, perché lui è nato in Ungheria. Affido alla sua protezione le vostre comunità e le vostre famiglie, affinché, nutriti regolarmente dell’Eucarestia, possano sempre divenire per il mondo delle scuole di cordialità, di accoglienza e di carità.
Che Dio vi benedica.]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including those from the United Kingdom, Denmark, the Netherlands, Ghana, Japan, Korea andthe United States of America. Upon you and your families I invoke the Lord’s blessings of joy and peace. God bless you all!
[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Regno Unito, Danimarca, Paesi Bassi, Ghana, Giappone, Corea e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore. Dio vi benedica!]

[Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua tedesca. Saluto specialmente gli studenti della Mädchenrealschule St. Ursula di Donauwörth. Nel mese di novembre ricordiamo in particolare le anime dei defunti e accompagniamole con la nostra preghiera. Il Signore vi benedica tutti.]

[Saluto i pellegrini di lingua spagnola e tutti i gruppi provenienti da Spagna e America latina. Preghiamo perché ogni famiglia partecipando all’Eucaristia, si apra all’amore di Dio e del prossimo, specialmente per coloro che mancano di pane e di affetto. Che il prossimo giubileo della Misericordia ci faccia vedere la bellezza della condivisione. Grazie.]

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i fedeli brasiliani di Aracaju, Divinópolis, Pernambuco e São Paulo. Auspico che questo incontro, che ci fa sentire membri dell'unica famiglia dei figli di Dio, vi aiuti a rinnovare nelle vostre case il desiderio di valorizzare ancora di più i momenti di convivialità insieme alle vostre famiglie. Dio vi benedica.]

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, con l’avvicinamento del Giubileo della Misericordia preghiamo affinché la convivialità familiare possa attingere sempre di più forza e vitalità dal Sacramento del Corpo e Sangue del Nostro Signore Gesù Cristo così da portare inclusione e salvezza a tutti ! Il Signore vi benedica!]

[Do il mio benvenuto ai pellegrini polacchi. In Polonia, oggi si celebra la festa dell’Indipendenza. In questo contesto ricordo ciò che disse San Giovanni Paolo II: “Senza Cristo non è possibile capire la storia della Polonia” (Varsavia, 2 VI 1979). Perseverate nella fedeltà al Vangelo e nella tradizione dei Padri al servizio della vostra Patria. Dio benedica la Polonia e ciascuno di voi. Sia lodato Gesù Cristo!]

[Saluto con affetto i pellegrini della Slovacchia che accompagnano i loro Vescovi nella visita Ad limina Apostolorum, specialmente i sacerdoti, i seminaristi, le persone consacrate e tutti i fedeli. Cari fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma rafforzi la coscienza della appartenenza alla Chiesa. Accompagnate i vostri vescovi con intense preghiere e non dimenticate di pregare anche per me.
Di cuore benedico tutti voi ed i vostri cari in Patria.
]

* * *
Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana! Saluto il Gruppo ecumenico di Farfa Sabina; i partecipanti all’incontro sulle cure palliative; l’Ordine degli Assistenti Sociali e il Coordinamento delle Libere Associazioni Professionali.

Oggi celebriamo la memoria liturgica di San Martino, Vescovo di Tours, figura popolarissima specialmente in Europa, modello di condivisione con i poveri. L’anno prossimo, in felice coincidenza con il Giubileo della Misericordia, ricorrerà il 17° centenario della sua nascita.

Rivolgo un saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Il Signore vi aiuti, cari giovani, ad essere promotori di misericordia e riconciliazione; sostenga voi, cari ammalati, a non perdere la fiducia, neppure nei momenti di dura prova; e conceda a voi, cari sposi novelli, di trovare nel Vangelo la gioia di accogliere ogni vita umana, soprattutto quella debole e indifesa.


© Copyright - Libreria Editrice Vaticana

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE INTERRELIGIOSA
IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELLA PROMULGAZIONE DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE "NOSTRA AETATE"
Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 ottobre 2015



Introduzione all'Udienza Generale:
Intervento del Card. Jean-Louis Tauran
Intervento del Card. Kurt Koch
Catechesi del Santo Padre

Intervento del Card. Jean-Louis Tauran

Santità,
Cinquant’anni sono trascorsi dalla promulgazione della Dichiarazione Conciliare Nostra aetate, quando la Chiesa, ponendosi in ascolto di un mondo in rapido cambiamento, ha cominciato in modo deciso a invitare i suoi membri a promuovere relazioni di rispetto, di amicizia e di dialogo con persone di altre religioni.

Sono qui presenti, tra gli altri, i partecipanti al Convegno Internazionale sulla Nostra aetate, che si sta svolgendo presso la Pontificia Università Gregoriana, e rappresentanti di varie religioni. Ci dà speranza, nella nostra comune ricerca della pace, la promessa del profeta Isaia: “Il Signore strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli” (Is 25, 7).

Del cammino verso quel monte, che talora è stato una salita faticosa, ma sempre esaltante, in questi primi cinquant’anni, noi, radunati tutti qui oggi con Lei, Padre Santo, siamo testimoni, eredi e protagonisti.

Grazie per la Sua luminosa testimonianza, che c’incoraggia a proseguire sulla strada del dialogo interreligioso, andando incontro agli altri credenti con una chiara consapevolezza della nostra identità, ma con uno spirito di grande rispetto, stima e amicizia, pronti a operare insieme con chi prega e pensa in maniera diversa da noi.

Grazie, Padre Santo, per i Suoi incessanti e instancabili inviti, rivolti a noi credenti e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, ad adoperarci per la pace eliminando le ingiustizie e le disuguaglianze, e a prenderci cura della nostra casa comune.

Oggi, radunati qui a Roma, intorno a Lei, Successore di Pietro, vogliamo pregare per la pace - com’è accaduto in passato nelle Giornate di Assisi, e testimoniare davanti a tutto il mondo che la fraternità universale è possibile. Grazie.


Intervento del Card. Kurt Koch

Santo Padre,
È per me una gioia ed un onore poterLa salutare qui in Piazza San Pietro, anche a nome dei rappresentanti della comunità ebraica che partecipano al Convegno Internazionale in occasione del 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate”, ed in particolare a nome della delegazione del World Jewish Congress. L’udienza odierna è un importante contributo all’approfondimento di quella “cultura dell’incontro” tra le persone, i popoli e le religioni che le sta molto a cuore, Santo Padre.

Un incontro foriero di promesse ebbe luogo anche all’inizio del processo che condusse alla stesura di “Nostra aetate”. Si tratta del colloquio avvenuto il 13 giugno del 1960 tra il Santo Papa Giovanni XXIII e lo storico ebraico Jules Isaak, che aveva presentato al Sommo Pontefice un Denkschrift con l’urgente richiesta di promuovere una nuova visione dei rapporti tra la Chiesa e l’ebraismo. Dopo solo pochi mesi da questo incontro, Papa Giovanni XXIII assegnava il compito di preparare, per il Concilio, una Dichiarazione sul popolo ebraico. Tale testo fu infine introdotto come quarto articolo nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.

Questo articolo rappresenta non solo il punto di partenza, ma il fulcro stesso dell’intera Dichiarazione “Nostra aetate”. Di fatti, la Chiesa ha con il popolo ebraico una relazione del tutto particolare, come si legge già nella prima frase: “Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo “ (Nostra aetate 4). Alla luce di questa comunione che esiste tra ebrei e cristiani nella storia della salvezza, il Concilio mette in evidenza le radici ebraiche della fede cristiana e riconosce il grande “patrimonio spirituale comune” a cristiani e ad ebrei. Il Concilio deplora inoltre ogni odio e manifestazione di violenza rivolti, anche da parte cristiana, contro il popolo ebraico e condanna ogni forma di antisemitismo.

“Nostra aetate” è considerata a ragione il documento di base e la Magna Charta di una fruttuosa relazione tra la Chiesa cattolica ed il popolo ebraico. Nel 50º anniversario di questa Dichiarazione, possiamo ricordare con gratitudine che anche dopo il Concilio tutti i Pontefici che si sono susseguiti hanno confermato ed approfondito le prospettive incoraggianti che si fondano in “Nostra aetate”. Santo Padre, lei ha di volta in volta ribadito il Suo grande apprezzamento per il popolo ebraico; in particolare, lo ha espresso durante la Sua visita in Terra Santa con la Sua preghiera al Muro del Pianto e la Sua toccante riflessione presso il Memoriale di Yad Vashem.

Ai giorni nostri, in un momento in cui risorgono purtroppo nuove ondate di antisemitismo, lei, Santo Padre, ricorda incessantemente a noi cristiani che è impossibile essere al contempo un cristiano ed un antisemita. Per questo Suo chiaro messaggio e per la benevolenza che Ella ha sempre mostrato verso i nostri fratelli e le nostre sorelle ebraici, La ringrazio di cuore, anche a nome dei rappresentanti ebraici qui presenti e di tutta la comunità ebraica, e chiedo su di noi la Sua beracha. Schalom!

Parole del Santo Padre ai malati e disabili riuniti nell'Aula Paolo VI all'inizio dell'Udienza Generale
Buongiorno a tutti! Voi siete qui oggi non perché vi abbiamo messi in galera!, ma perché il tempo è brutto e pioveva. Adesso credo che abbia smesso ma è instabile, così voi siete più comodi e tranquilli e potete vedere l’udienza dal maxischermo. E io dirò a quelli che sono in piazza che voi siete qui e così ci salutiamo e siamo tutti insieme. Vi prego di pregare per me, e io prego per voi.
Potete offrire a Gesù i dolori della malattia: le malattie sono brutte tutte, tutte; possiamo offrire a Gesù e andare avanti e chiedere la grazia, nella tristezza e nei dolori, di non perdere la speranza. La speranza che ci darà la gioia.
Adesso preghiamo insieme l’Ave Maria e vi do la benedizione. [Ave Maria]
Buona udienza da qui e pregate per me!



CATECHESI DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nelle Udienze Generali ci sono spesso persone o gruppi appartenenti ad altre religioni; ma oggi questa presenza è del tutto particolare, per ricordare insieme il 50° anniversario della Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra ætate sui rapporti della Chiesa Cattolica con le religioni non cristiane. Questo tema stava fortemente a cuore al beato Papa Paolo VI, che già nella festa di Pentecoste dell’anno precedente la fine del Concilio, aveva istituito il Segretariato per i non cristiani, oggi Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Esprimo perciò la mia gratitudine e il mio caloroso benvenuto a persone e gruppi di diverse religioni, che oggi hanno voluto essere presenti, specialmente a quanti sono venuti da lontano.

Il Concilio Vaticano II Ã¨ stato un tempo straordinario di riflessione, dialogo e preghiera per rinnovare lo sguardo della Chiesa Cattolica su se stessa e sul mondo. Una lettura dei segni dei tempi in vista di un aggiornamento orientato da una duplice fedeltà: fedeltà alla tradizione ecclesiale e fedeltà alla storia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Infatti Dio, che si è rivelato nella creazione e nella storia, che ha parlato per mezzo dei profeti e compiutamente nel suo Figlio fatto uomo (cfr Eb1,1), si rivolge al cuore ed allo spirito di ogni essere umano che cerca la verità e le vie per praticarla.

Il messaggio della Dichiarazione Nostra ætate Ã¨ sempre attuale. Ne richiamo brevemente alcuni punti: 
- la crescente interdipendenza dei popoli (cfr n. 1);
- la ricerca umana di un senso della vita, della sofferenza, della morte, interrogativi che sempre accompagnano il nostro cammino (cfr n. 1);
- la comune origine e il comune destino dell’umanità (cfr n. 1);
- l’unicità della famiglia umana (cfr n. 1);
- le religioni come ricerca di Dio o dell’Assoluto, all’interno delle varie etnie e culture (cfr n. 1);
- lo sguardo benevolo e attento della Chiesa sulle religioni: essa non rigetta niente di ciò che in esse vi è di bello e di vero (cfr n. 2);
- la Chiesa guarda con stima i credenti di tutte le religioni, apprezzando il loro impegno spirituale e morale (cfr n. 3);
- la Chiesa, aperta al dialogo con tutti, è nello stesso tempo fedele alle verità in cui crede, a cominciare da quella che la salvezza offerta a tutti ha la sua origine in Gesù, unico salvatore, e che lo Spirito Santo è all’opera, quale fonte di pace e amore.

Sono tanti gli eventi, le iniziative, i rapporti istituzionali o personali con le religioni non cristiane di questi ultimi cinquant’anni, ed è difficile ricordarli tutti. Un avvenimento particolarmente significativo è stato l’Incontro di Assisi del 27 ottobre 1986. Esso fu voluto e promosso da san Giovanni Paolo II, il quale un anno prima, dunque trent’anni fa, rivolgendosi ai giovani musulmani a Casablanca auspicava che tutti i credenti in Dio favorissero l’amicizia e l’unione tra gli uomini e i popoli (19 agosto 1985). La fiamma, accesa ad Assisi, si è estesa in tutto il mondo e costituisce un permanente segno di speranza.

Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra ætate, ha tracciato la via: “sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. La conoscenza, il rispetto e la stima vicendevoli costituiscono la via che, se vale in modo peculiare per la relazione con gli ebrei, vale analogamente anche per i rapporti con le altre religioni. Penso in particolare ai musulmani, che – come ricorda il Concilio – «adorano il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (Nostra ætate, 5). Essi si riferiscono alla paternità di Abramo, venerano Gesù come profeta, onorano la sua Madre vergine, Maria, attendono il giorno del giudizio, e praticano la preghiera, le elemosine e il digiuno (cfribid.).

Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso: rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione.

Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci chiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza. Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità.

A causa della violenza e del terrorismo si è diffuso un atteggiamento di sospetto o addirittura di condanna delle religioni. In realtà, benché nessuna religione sia immune dal rischio di deviazioni fondamentalistiche o estremistiche in individui o gruppi (cfr Discorso al Congresso USA, 24 settembre 2015), bisogna guardare ai valori positivi che esse vivono e che esse propongono, e che sono sorgenti di speranza. Si tratta di alzare lo sguardo per andare oltre. Il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Tutti i credenti di ogni religione. Insieme possiamo lodare il Creatore per averci donato il giardino del mondo da coltivare e custodire come un bene comune, e possiamo realizzare progetti condivisi per combattere la povertà e assicurare ad ogni uomo e donna condizioni di vita dignitose.

Il Giubileo Straordinario della Misericordia, che ci sta dinanzi, è un’occasione propizia per lavorare insieme nel campo delle opere di carità. E in questo campo, dove conta soprattutto la compassione, possono unirsi a noi tante persone che non si sentono credenti o che sono alla ricerca di Dio e della verità, persone che mettono al centro il volto dell’altro, in particolare il volto del fratello o della sorella bisognosi. Ma la misericordia alla quale siamo chiamati abbraccia tutto il creato, che Dio ci ha affidato perché ne siamo custodi, e non sfruttatori o, peggio ancora, distruttori. Dovremmo sempre proporci di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato (cfr Enc. Laudato si’, 194), a partire dall’ambiente in cui viviamo, dai piccoli gesti della nostra vita quotidiana.

Cari fratelli e sorelle, quanto al futuro del dialogo interreligioso, la prima cosa che dobbiamo fare è pregare. E pregare gli uni per gli altri: siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – possa aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità.


Saluti:
 [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i membri della Comunità San Giovanni, l’Università Cattolica dell’Ovest, l’Azione Cattolica dei Fanciulli e l’Educazione Cattolica di Avignone, come pure i fedeli venuti dalla Svizzera.
Vi invito a rinnovare la vostra preghiera e il vostro impegno per stabilire un dialogo fraterno e fruttuoso con quanti appartengono ad altre religioni, per costruire, con la grazia di Dio, un mondo di giustizia e di pace.
Che Dio vi benedica e vi protegga.]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including those from England, Wales, Ireland, Sweden, Denmark, Finland, Nigeria, Israel, Australia, Indonesia, Japan and the United States of America.  In a particular way I greet the ecumenical delegation from Korea, and I renew my thanks to the representatives of the different religions who have joined us today.  God bless you all!
[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Galles, Irlanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Nigeria, Israele, Australia, Indonesia, Giappone e Stati Uniti d’America.  Rivolgo un saluto particolare alla delegazione ecumenica dalla Corea, e ringrazio di nuovo i rappresentanti delle diverse religioni presenti in quest’occasione.  Dio vi benedica tutti!]

[Un cordiale saluto rivolgo ai pellegrini di lingua tedesca, in particolare ai vicari giudiziali di varie Diocesi austriache, neerlandesi, svizzere e tedesche, riuniti in convegno a Roma. Saluto anche il Coro Montini e gli alunni del Realschule Maria Ward a Burghausen della Baviera. Preghiamo il Signore che il vostro pellegrinaggio a Roma possa essere un’esperienza viva della grande famiglia umana nell’armonia delle diversità. Dio vi benedica tutti.]

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare ai fedeli di Cacém e Lisboa e ai pellegrini brasiliani di Rio de Janeiro, São Paulo, Alto do Rodrigues e Catanduva. Cari amici, siete chiamati ad essere lievito anche nella promozione del dialogo con le altre religioni e le persone di buona volontà, cercando di costruire insieme un mondo più fraterno e giusto. Dio vi benedica.]

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i partecipanti al V Congresso della Fondazione Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, che si celebra a Madrid, così come i gruppi provenienti da Spagna e America latina. Grazie mille.]

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle,il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Ricordatevi sempre che possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato! Il Signore vi benedica!]

 [Saluto cordialmente i Polacchi. Fratelli e sorelle, cinquanta anni fa fu promulgata la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane: essa ci mostra il compito particolare della Chiesa universale di rafforzare il dialogo tra gli uomini e tra le religioni. Durante il prossimo Giubileo Straordinario della Misericordia, dedichiamoci a questo compito attraverso la preghiera e con la sollecitudine per lo sviluppo di opere caritatevoli. A tutti coloro che intraprendono tali iniziative imparto la Benedizione.]
* * *
APPELLO
Siamo vicini alle popolazioni del Pakistan e dell’Afghanistan colpite da un forte terremoto, che ha causato numerose vittime e ingenti danni. Preghiamo per i defunti e i loro familiari, per tutti i feriti e i senza tetto, implorando da Dio sollievo nella sofferenza e coraggio nell’avversità. Non manchi a questi fratelli la nostra concreta solidarietà.


Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana.
Sono lieto di accogliere le Suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo e le Figlie di Gesù Buon Pastore in occasione dei rispettivi Capitoli Generali, incoraggiandole nel loro servizio al Vangelo e alla Chiesa.
Saluto i Diaconi del Collegio Sloveno; la Fondazione Pro Musica ed arte sacra; l’Associazione Emodializzati di Milano e gli Angeli della Vita di Giovinazzo.
Nel giorno della Festa dei Santi Simone e Giuda auguro che il ricordo degli Apostoli, primi testimoni del Vangelo, accresca la fede e incoraggi la carità.
Porgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. A conclusione del mese di ottobre invochiamo Maria, la Madre di Gesù. Cari giovani, imparate a pregarla con la preghiera semplice ed efficace del Rosario; cari ammalati, la Madonna sia il vostro sostegno nella prova del dolore; cari sposi, imitate il suo amore per Dio e per i fratelli!
Adesso, per finire questa udienza, invito tutti, ognuno per conto proprio, a pregare in silenzio. Ognuno lo faccia secondo la propria tradizione religiosa. Chiediamo al Signore che ci faccia più fratelli fra noi, e più servitori dei nostri fratelli più bisognosi. Preghiamo in silenzio.
[preghiera silenziosa]
E Dio ci benedica tutti!
  


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